
Cronaca / Sondrio e cintura
Domenica 31 Agosto 2025
A Tresivio gli scavi rivelano le abitudini alimentari medievali
Grazie all’Università di Bergamo e al progetto interreg Archeo Alps si studiano i resti di piante e animali per capire cosa si mangiava
Tresivio
Chicchi di grano e lenticchie che venivano usati per fare minestre di legumi oppure processati per renderli farine o consumati seguendo, ad esempio, la ricetta dell’orzotto. Ma anche resti di polli, maiali, mucche. Si apre un mondo interessante analizzando quanto emerge dagli scavi archeologici a Tresivio. Non solo pezzetti di pietra ollare o ceramiche dipinte emergono dalla terra, ma anche reperti che ci aiutano a capire cosa nel Medioevo si mangiasse.
È uno dei risvolti della campagna in corso al castello da parte dell’Università di Bergamo, con responsabile il docente e archeologo Federico Zoni, all’interno del progetto Interreg “Archeologia alpina. Luoghi, presenze, strategie Archeo.Alps”. Ce ne parlano Gianluca Simonini, archeobotanico (che studia i resti vegetali), e Francesca Fapanni, archeozoologa (che studia i resti animali), entrambi dell’Università di Bergamo. «A differenza dei resti animali che già si riescono a trovare durante lo scavo, per la parte botanica è più complesso – afferma Simonini -. Bisogna prelevare campioni di terra che poi verranno processati in laboratorio. I resti più grandi che vado ad analizzare possono essere castagne, ma la maggior parte sono cariossidi di cereali (chicchi) di dimensioni veramente piccole. Qui, a Tresivio, abbiamo trovato cariossidi di grano tenero e anche delle lenticchie carbonizzate. Ci sono però anche specie che non sono indicatori della parte alimentare, ma indicatori ambientali: sono le specie che vengono chiamate ruderali, che crescono nella zona circostante i ruderi, specie principalmente antropiche, cioè che apprezzano la vicinanza con l’uomo, e che ci danno informazioni sull’ambiente. Ad esempio, il rumex, pianta oggi comunemente presente, ci dice che nelle vicinanze c’erano zone acquitrinose o con acque stagnanti. Altre specie, come il forasacco, parlano di zone coltivate, perché sono infestanti di campi. Per il momento a Tresivio non ne abbiamo trovate, al contrario degli scavi a Caspoggio, dove abbiamo rinvenuto anche il sambuco nero, edibile, e quello tossico (ma non mortale) che veniva preso, portato in loco come infestante o consumato in casi estremi perché dava comunque un apporto calorico».
Una volta prelevato in scavo, il campione viene portato in laboratorio dove viene lavato su setacci a maglia molto fine, inferiore allo 0,5 mm, in modo da catturare tutto ciò che all’interno possa essere identificato. Oltre ai resti botanici, si possono scoprire anche resti di piccoli animali che sono impossibili da vedere durante lo scavo come topi, lucertole, uccellagione o pesci. «Per il momento ho creato un piccolo laboratorio in casa mia, a Ponte in Valtellina – afferma Simonini –, ma forse da ottobre verrà creata una sede a Chiuro, distaccamento dell’Università di Bergamo, per cui mi sposterò lì per la maggior parte degli studi in modo da creare una sorta di pied-à-terre per le ricerche anche in Valtellina».
Francesca Fapanni, archeozoologa, studia i resti faunistici (ossa di animali, denti, palchi) che provengono dagli strati archeologici. «Il mio lavoro, oltre a reperire i resti in scavo, si concentra in laboratorio dove mi occupo della determinazione della specie, degli elementi anatomici che ritroviamo in scavo per molti fini – dichiara -: principalmente per provare a ricostruire l’economia del sito che stiamo studiando. In questo contesto di insediamento i resti di animali che troviamo sono principalmente gli scarti del pasto, cioè quello che le persone avevano mangiato o macellato. Al momento abbiamo portato alla luce resti di animali domestici, principalmente bovini, ovini, caprini, maiali, galli. Generalmente nei siti valtellinesi troviamo anche resti di animali selvatici che venivano consumati come il cervo e la lepre. Poi ci sono altre specie che sono più indicatori paleoambientali, cioè ci danno informazioni sulle condizioni ecologiche e ambientali dello spazio che stiamo osservando».
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