
Cronaca / Lecco città
Martedì 17 Giugno 2025
Minacce e pistola: chiesti oltre tre anni per Augustin Ameyibor, “Big Ceo”. La difesa: «Quelle foto? Solo arte»
È accusato di aver minacciato con una pistola un uomo per presunti debiti, ma si difende sostenendo che le immagini con l’arma erano solo «a fini artistici». Augustin Ameyibor, conosciuto nella scena musicale come “Big Ceo”, è a processo a Lecco per minacce aggravate e porto abusivo d’arma. L’episodio risale al 2019, ma la sentenza è attesa per metà luglio. L’accusa ha chiesto 3 anni e 3 mesi
Lecco
Le foto con la pistola in mano? Solo per motivi artistici. Così sostiene la difesa di Augustin Ameybor, lecchese imputato di minacce e porto abusivo di armi, in relazione a un vecchio episodi di anni fa, nel quale avrebbe minacciato un altro uomo in centro città, per presunte questioni debitorie.
L’uomo, attualmente agli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico per altre vicende, promuove su un canale Youtube la propria attività nella musica trap, con il nome d’arte di ‘Big Ceo’, con un video e un brano pubblicato un anno fa e più di 50mila visualizzazioni. Nei suoi confronti, la pubblica accusa ha chiesto la condanna tre anni e tre mesi, mentre la difesa (è assistito dallo studio Vecchioni, che assiste anche il trapper Baby Gang) ha sostenuto l’innocenza (sentenza prevista alla metà di luglio).
«I debiti vanno pagati, qui io sono il boss», avrebbe detto l’imputato nel 2019, quando, secondo una testimone sentita nel corso dell’istruttoria, si presentò sotto casa sua chiedendo del partner. Stando al ricordo della donna, e secondo la tesi della pubblica accusa, quella persona era proprio Augustin Ameyibor, già coinvolto in altre vicende giudiziarie per accuse legate allo spaccio di droga in viale Turati nel rione Santo Stefano, anche se poi, a gennaio 2024, era stato assolto da quelle contestazioni. In questa vicenda è sotto processo per minacce aggravate.
Secondo quanto riferito da alcuni testimoni, anni fa avrebbe esploso un colpi di pistola a scopo intimidatorio, dopo essersi presentato a casa di un altro soggetto, con il quale forse aveva in sospeso questioni economiche. «Ho visto la figura di un uomo sotto un lampione – ha ricordato durante la scorsa udienza di maggio l’allora compagna del destinatario delle presunte intimidazioni (oggi moglie dello stesso) – e ho notato la canna della pistola che sporgeva dalla mano chiusa. L’ho riconosciuto perché lo conoscevo sin da quando era una ragazzino. Ho sentito chiaramente le parole ‘sono il boss’ e ‘ i debiti vanno pagati’».
Prima della donna si era presentato in aula anche un ispettore della Squadra Mobile, che aveva indagato sull’accaduto. L’arma non venne mai trovata, ma l’imputato venne sottoposto alla prova dello stub, il procedimento scientifico che serve a verificare la presenza dei residui di uno sparo da arma da fuoco. Nella galleria del suo telefonino, all’epoca, vennero trovate alcune immagini che lo ritraevano impugnare una pistola. Secondo la difesa, appunto, quelle immagini altro non erano che foto utilizzate “a fini artistici”, visti l’attività nella produzione di brani trap, e con armi a salve.
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