Poggiridenti, chiude la storica
macelleria Nobili: era aperta dal 1962

La decisione sofferta della famiglia Bresesti, nipoti del fondatore, a causa della difficoltà nel reperire personale qualificato. Nessuno ha accettato l’offerta di rilevare l’attività

Poggiridenti

Giulia Bresesti ricorda quando, da piccola, con le sorelle Nicole e Francesca, in pigiama, anche prima di fare colazione, scendeva in negozio, che si trovava sotto casa, per salutare il nonno Arnaldo mentre tagliava bistecche o preparava salsicce. O, ancora, quando nel periodo di studio per gli esami dell’università, per staccare un attimo, andava in negozio e l’ansia «da esame» calava nella quotidianità del lavoro in macelleria. Macelleria come questione di famiglia, anche con l’affezionata clientela.

Tanti i ricordi legati alla storica macelleria artigianale Nobili di Poggiridenti, aperta nel 1962 da Arnaldo Nobili e Rita De Maron, che ha chiuso i battenti per motivi legati alla carenza di personale. «Nonno Arnaldo è mancato nel 2011 e ha lavorato finché ha potuto, la nonna Rita ha 85 anni e, ancora adesso, alle 17 arrivava in negozio per aiutarci con la chiusura – racconta Giulia nel ricostruire la storia del negozio e della famiglia –. Mio papà Pierangelo Bresesti, dopo un’esperienza come autista alla Stps, a circa trent’anni è entrato in macelleria dove già lavorava mia mamma, Michela Nobili. E poi siamo arrivate anche noi tre sorelle (Nicole, Giulia e Francesca, ndr) con precedenti percorsi diversi, ma alla fine ci siamo ritrovate tutte lì. Eravamo come jolly, io principalmente mi occupavo di social e del sito web perché, negli ultimi anni, abbiamo fatto molte spedizioni di prodotti, Nicole della parte amministrativa e Francesca della gastronomia e di preparare le borse sottovuoto per i clienti». Tasto dolente quello del personale: «Abbiamo avuto sempre dipendenti, ultimamente quattro, ma è stato un viavai, a parte due figure fisse storiche, una delle quali per motivi famigliari ha dovuto lasciare – prosegue Bresesti –. Questo ha portato i miei genitori a fare un ragionamento, anche perché erano stanchi di questo andirivieni. Qualcuno ha fatto colloqui ma, di fronte agli orari di lavoro (7.30-12.30; 15-19.30 o 20), ha preferito rinunciare optando per lavorare in salumificio, per esempio, in modo da essere libero alle 17 di andare a fare l’aperitivo con gli amici. Capisco che i nostri fossero orari impegnativi fra produzione e vendita al banco e, soprattutto, per il tipo di lavoro artigianale, con produzione a mano, ci vuole passione». Da qui la decisione, sofferta ma inevitabile, di chiudere. «Fa male vedere le saracinesche abbassate, anche perché, senza presunzione, abbiamo sempre lavorato bene – continua Giulia –. Non volevamo rischiare di arrivare ad un periodo come il Natale e non riuscire a soddisfare le richieste della clientela. Abbiamo preferito terminare così, senza scivoloni. Mio nonno, quando si è ammalato, prima di morire, ci aveva detto di non preoccuparci, di chiudere subito se non fossimo riusciti a proseguire, visto che si trattava di un lavoro impegnativo e i tempi erano difficili. Era il 2011, siamo andati avanti per altri 14 anni».

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