Il “sogno Dubai” di Melavì: mele mai pagate e costi salati per le trasferte

Il progetto di esportare le mele valtellinesi a Dubai si è rivelato un fallimento per la cooperativa: forniture non pagate per 250mila euro e costi ingenti di trasferte e consulenze. I debiti ammontano a 23 milioni

Ponte in Valtellina

Un nuovo capitolo della crisi di Melavì è approdato in Tribunale a Sondrio, dove se ne occupa il giudice Sara Cargasacchi, titolare del fascicolo sul concordato preventivo semplificato. Mentre veniva meno la fiducia dei soci nei confronti della cooperativa (e della sua gestione), i vertici avevano dapprima tentato la composizione negoziata della crisi – con esito negativo – e successivamente avevano optato per il concordato preventivo semplificato.

Molti soci, sfiduciati anche dai ritardi e dai mancati pagamenti per le mele già conferite, avevano smesso di conferire il prodotto alla cooperativa con sede a Ponte in Valtellina, aprendo la strada a contenziosi interni.

Gli amministratori, in un contesto sempre più critico, cercavano di rilanciare l’attività con iniziative che però non portarono risultati. Dalle carte emerge, ad esempio, l’acquisto e la commercializzazione di mirtilli importati da Ucraina e Perù, nonostante in Valle vi siano numerosi produttori locali. Non solo: nel novembre 2024 fu costituita una società ad hoc a Dubai, con l’obiettivo di distribuire lì le mele valtellinesi.

Il progetto, privo di solide basi, si rivelò un fallimento: mancati pagamenti per quasi 250mila euro e spese ingenti per consulenze e trasferte degli amministratori negli Emirati. Alla fine, l’operazione venne abbandonata, come evidenziato anche nella relazione al Tribunale dell’ausiliario Simone Martinalli, commercialista di Morbegno. Il professionista ha sottolineato l’assenza di un adeguato progetto industriale.

Intanto la situazione economica di Melavì è precipitata: i debiti complessivi ammontano a circa 23 milioni di euro. Tra i creditori figurano i soci conferitori, che vantano crediti per 2,1 milioni, e i soci che avevano concesso prestiti, per ulteriori 2,8 milioni. Il piano concordatario prevede di pagare i soci al 23% del credito, grazie a 18 milioni stimati dalla vendita dei beni: 13 dai terreni e fabbricati, 600mila dal marchio Melavì e il resto dalle attrezzature. Ma secondo la perizia dell’esperto nominato dal Tribunale, le stime sarebbero eccessivamente ottimistiche: ridimensionando i valori, una volta soddisfatte le banche, ai soci rischierebbe di non restare nulla.

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